Quando essere (𝘵𝘳𝘰𝘱𝘱𝘰) ambiziosi rovina la carriera. E non solo.

Lo so, sembra un paradosso, ed è lecito chiedersi: “𝘥𝘢 𝘲𝘶𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘷𝘰𝘭𝘦𝘳 𝘳𝘢𝘨𝘨𝘪𝘶𝘯𝘨𝘦𝘳𝘦 𝘶𝘯 𝘵𝘳𝘢𝘨𝘶𝘢𝘳𝘥𝘰 𝑒̀ 𝑢𝑛 𝑜𝑠𝑡𝑎𝑐𝑜𝑙𝑜 𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑐𝑎𝑟𝑟𝑖𝑒𝑟𝑎?” Eppure anche l’ambizione deve essere gestita, contenuta, incanalata, altrimenti rischia di esondare e fare danni, come tutte le forze non controllate.

A volte si pensa che per eccellere si debba strafare: puntare a 12 quando già 10 significherebbe il massimo per chiunque, mirare ad avere 20 clienti quando 15 riempirebbero l’agenda dei migliori, controllare e ricontrollare i report prima di consegnarli, portandoseli a casa o restando in ufficio fino a tardi (o al tavolo di casa, poco importa), 𝒑𝒖𝒐̀ 𝒄𝒂𝒖𝒔𝒂𝒓𝒆 𝒖𝒏 𝒆𝒏𝒐𝒓𝒎𝒆, 𝒊𝒏𝒖𝒕𝒊𝒍𝒆 𝒔𝒕𝒓𝒆𝒔𝒔. Si finisce per essere in continua rincorsa verso quella sfuggente perfezione, quel prossimo traguardo che finalmente svelerà il vero significato a ciò che facciamo, del prezzo altissimo che stiamo pagando per il successo. Ci si immola in nome della “qualità totale” e se la performance dipende da altri membri del team si diventa aggressivi e dispotici, perché se la squadra sbaglia, noi falliamo. Si punta agli standard più elevati, imposti con rigore a colleghi e partner. 𝑬 𝒂 𝒔𝒆 𝒔𝒕𝒆𝒔𝒔𝒊. Già, perché nessuno sfugge alla mannaia del giudizio che si abbatte impietosa. Nemmeno noi. Ma bisogna fare di più, ottenere di più, e così si sposta l’asticella un po’ più in alto. Poi ancora un po’. Ci si dimentica di esser felici per ciò che si ha e si punta al prossimo traguardo, che diventa vecchio non appena lo si raggiunge. 𝑬’ 𝒖𝒏𝒂 𝒔𝒐𝒓𝒕𝒂 𝒅𝒊 𝒃𝒖𝒍𝒊𝒎𝒊𝒂 𝒅𝒆𝒍 𝒔𝒖𝒄𝒄𝒆𝒔𝒔𝒐, 𝒆𝒅 𝒆̀ 𝒆𝒔𝒕𝒆𝒏𝒖𝒂𝒏𝒕𝒆.

Genera ansia in chi la vive e sofferenza in chi ci sta accanto, allontana le persone e come se non bastasse, sabota i risultati. Esatto, 𝒄𝒊 𝒇𝒂 𝒍𝒂𝒗𝒐𝒓𝒂𝒓𝒆 𝒑𝒆𝒈𝒈𝒊𝒐. Come si può eccellere in ciò che si fa se si è perennemente insoddisfatti? Se si corre sempre e non si rifiata mai, come si capisce quando la gara è finita?

C’è bisogno di diventare persone capaci di 𝒍𝒂𝒗𝒐𝒓𝒂𝒓𝒆 𝒃𝒆𝒏𝒆 𝒆 𝒇𝒐𝒓𝒕𝒆 quando serve e di dedicare sempre più tempo ad altro. Cosa serve per farlo? Come per tutto, 𝒄𝒊 𝒗𝒂 𝒄𝒐𝒓𝒂𝒈𝒈𝒊𝒐. Ad esempio bisogna ammettere che se 10 è già il massimo della capienza, quel 2 in più ci provoca solo l’indigestione. Si deve cominciare a guardare al percorso e non solo all’arrivo. Fare il pit-stop. Cambiare la traiettoria per cambiare il bersaglio. Insomma, concedersi il lusso di stravolgere il paradigma:

𝒓𝒊𝒔𝒖𝒍𝒕𝒂𝒕𝒊 𝒆𝒄𝒄𝒆𝒍𝒍𝒆𝒏𝒕𝒊, 𝒏𝒐𝒏 𝒆𝒄𝒄𝒆𝒔𝒔𝒊𝒗𝒊.

Simone Marietta

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